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RICETTA DELLO SCRITTORE

 

Una penna con punta di diamante è già voglia di scrivere. E’ già far brillare le parole, incoronarle di ghirlande di luce. E’ già mettere insieme i pezzi che vengono a galla sulla superficie liscia del pensiero.

Ruvido. Sento ruvido e rugoso muoversi dentro di me il desiderio dello scrittore. Incerto, confuso. Le mie parole sono in pigiama. Tessuto di pile, morbido e pesante. Le mie parole dormono, ma si stanno svegliando. Nessuna fretta per il mio vispo ego, che in cucina già si appresta a fare il caffè.

Bollente quello che ho da dire, amaro come la nuda realtà del mondo. Un po’ di zucchero per favore. Niente zucchero di canna, ma zollette sì, vere e proprie zollette, perché solo quelle possono addolcire lo scrittore dentro di me. E dopo mi sveglierò anch’io, mi alzerò ed andrò a prepararmi. Non prima dello scrittore e, soprattutto, non prima dell’ego.

Irregolari vibrazioni presiedono il mio destarmi. Le seguo senza controbattere. Dove mi portano? Alla penna con punta di diamante che stringo fra le dita, alla curiosa ed insolita giornata che mi aspetta. Tenterò di chiamare lo scrittore, non sempre mi starà a sentire. A volte sarà lui a cercarmi, ma sarò troppo impegnata ed indaffarata per ascoltarlo.

E mangerò silenzi. Ne mangerò tanti, come cioccolatini. Li scarterò della loro materialità, ma ne rimarrà il gusto. Assaporerò. Anche con gli occhi.

I fuochi d’artificio dell’anima. Dove scivolano quando si spengono? Quando tutto tace? Dove vanno a rifugiarsi quando lo scoppio è finito? Quando termina quel tripudio, quei giochi di forme? In quale caverna si rifugiano? Qual è la loro tana? Ricerco invano. Qual'è il luogo a cui risalgono le loro origini e a cui, ne sono sicura, una volta scoppiati, ritornano?

E poi voglio le girandole. Le voglio, sì. Voglio soffiare forte su di loro per farle girare, per farle girare all’infinito. Come la mia testa. Incontro scontro di idee e percezioni. Di memorie e proiezioni. A volte dagli scontri nascono fusioni, a volte no. A volte è crema di passioni, a volte è solo fumo o, se va meglio, il ricciolo di fumo di una domanda che nasce, un interrogativo che non lascia tregua e ne genera altri. A volte lo specchio mi fa ragionare, a volte no ed è solo conduttore di confusione.

Riflessi. Quei tentacoli trasparenti che ti sfiorano, tentano, stuzzicano, stimolano. Ecco, quelli. Voglio proprio quelli e ne voglio a palate. Voglio perdermici dentro. Dentro a quei collegamenti misteriosi. Filamenti primitivi, quasi animaleschi. Vetro contro vetro, non lasciano quasi mai nulla al caso. Sanno quello che vogliono. E dove andare a colpire. Se non è l’anima è lì vicino.

E per completare il quadro? Un etto di incertezze. Cominciamo con un etto, poi se voglio ne aggiungerò delle altre. Sì, adoro pesarle, mi piace proprio. Avete capito bene, mi piacciono le incertezze. Certo “qb”, come il sale. Troppe distorcerebbero il sapore delle mie pietanze letterarie. Ma le trovo affascinanti, estremamente affascinanti. Come un dipinto impressionista in cui predomina l’emozione della paura. Un po’ di adrenalina, secondo me ce n’è tanta nell’incertezza. E’ quella che smuove, che mette in discussione, che sposta i mobili di una stanza antica e in disuso, che ne modifica la posizione. Così, lascio fare. Ma per adesso solo un etto.

Mezzo grammo di nostalgia. Da quella voglio stare lontano, è pericolosa. Meglio non esagerare o farò indigestione. Sono lacrime per quello che si è perduto. Non credo che una lacrima dia più sapore, a meno che non aiuti a rivivere l’oggetto della mancanza. O almeno in parte. Ma poi inevitabilmente troverebbe spazio il rimpianto. E allora poca, poca nostalgia. Mezzo grammo è più che sufficiente.

Ma sto ancora trascurando l’ingrediente principale. Un ingrediente che non ha nome, che non saprei neanche come chiamare. E, se gli trovassero un nome, coinciderebbe con la risposta a questa domanda: come si fa a descrivere nei dettagli ed in profondità tutto ciò che vorrei descrivere? Anche se non si può descrivere? Fino a dove potrò spingere l’acume dell’ingegno? Ecco, per il momento potrei accontentarmi di questo, dell’acume dell’ingegno. Ne prendo un chilo. Magari ci grattugio sopra un po’ di ambizione, che non si sa mai. E per il momento va bene così. Impasterò tutto.

Quasi dimenticavo ... la glassa dello stile. Sì, perché secondo me lo stile gioca uno ruolo in primo piano, anzi in primissimo. Ma è solo una glassa, quando se ne abusa può stuccare.

Infornare sulle righe di un quaderno, rileggere, rielaborare. Mi sembra come se non fosse abbastanza. Un' “abbastanza” molto soggettivo, come i gusti personali. Come preferire le noci ai datteri, od il parmigiano sulla pasta o meno.

Ma la verità è che per me non c’è mai un'abbastanza. E’ tutto un continuo superare il limite, un autosfidarsi e sfidare l’eterno, cercando di raggiungere punti sempre più lontani.

Ecco, per me questo è abbastanza.

RACCONTO

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© 2021 Diritti d'autore riservati Maria Ranalli

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